Il contesto della propaganda nazista sul confine orientale, i fatti – nelle testimonianze controverse influenzate dal clima della guerra fredda – della liberazione di Cividale. Il confronto con le fonti slovene e del comando alleato. E infine un focus sui processi del dopoguerra ai componenti del reggimento “Tagliamento” della Repubblica di Salò.
Il comitato provinciale dell’Anpi ha deciso di affidare la ricostruzione delle vicende del primo maggio ’45 a Cividale a quattro storici. Lo scorso 19 novembre, proprio nella città ducale, hanno esposto le loro ricerche più recenti su questo tema Paolo Ferrari, Gian Carlo Bertuzzi, Gorazd Bajc e Fabio Verardo. L’intenzione, ha affermato Luciano Marcolini Provenza presidente di Anpi Cividale dopo i saluti dalla sindaca Daniela Bernardi, è quella di offrire una prospettiva storica, di mettere un punto fermo rispetto a ricostruzioni più o meno fantasiose e alle polemiche politiche che su quegli eventi ancora inquinano il dibattito.
Una funzione fondamentale nella costruzione del consenso attorno agli occupanti tedeschi lo ricoprì, negli anni del Litorale adriatico, la propaganda nazista. Paolo Ferrari, docente di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Udine (che ha insegnato anche all’Università di Pavia, al Politecnico di Milano e all’Università di Newcastle), ne ha ricostruito le caratteristiche: dall’esaltazione della forza dell’occupante, alla denigrazione dei nemici, definiti come ‘banditi’ i partigiani, come portatori di un modello sociale malato e deviante gli statunitensi. Peculiare in questa zona d’occupazione il fatto che il nazismo si proponesse come strenuo difensore della cristianità contro il mostro slavo – comunista.
In un clima condizionato da anni di propaganda la vicenda controversa della liberazione di Cividale ha assunto una connotazione peculiare. Ne ha parlato Gian Carlo Bertuzzi che ha svolto la propria attività didattica e scientifica presso il Dipartimento di Storia e storia dell’Arte dell’Università di Trieste. Bertuzzi ha riordinato le fonti, quasi tutte testimoniali e rese in un periodo successivo ai fatti e quindi influenzate dal clima della guerra fredda. Cividale nel periodo del Litorale adriatico era una centro militarmente importante, oltre all’esercito tedesco nella zona c’erano dalla stessa parte i cosacchi e il reggimento Tagliamento della Rsi. Nelle Valli del Natisone c’era invece il Beneški bataljon inquadrato nel IX Korpus.
Le formazioni partigiane anche quelle italiane ebbero però grandi difficoltà a reclutare. Il ‘Tagliamento’, invece, fondato da Ermacora Zuliani dopo l’armistizio, ebbe un successo maggiore perché – ha affermato Bertuzzi – garantiva una discreta fonte di reddito. Controversa nelle fonti la ricostruzione degli ultimissimi giorni prima della liberazione della città. Incerta la data della resa all’Osoppo del battaglione Tagliamento, secondo alcuni avvenuta il 25 aprile, secondo altri il 28. In ogni caso ad una parte di questi soldati, pochi giorni dopo, venne dato il fazzoletto verde simbolo della Osoppo e sfilarono come liberatori. Non è chiaro chi arrivò per primo in città, di certo fra questi ci fu anche il Beneški bataljon (probabilmente arrivato nel pomeriggio del primo maggio).
Secondo le fonti slovene, sia politiche che militari, però – ha affermato Gorazd Bajc, professore di Storia contemporanea europea e dei Balcani dell’Università di Maribor – i partigiani sloveni delle Valli del Natisone arrivarono sul Ponte del Diavolo già in mattinata, per primi. Le altre fonti alleate finora conosciute, invece, non menzionano affatto l’episodio.
Dallo studio dei dibattimenti processuali, e delle relative sentenze di primo grado del dopoguerra – condotti, tra l’altro, da giudici compromessi col regime fascista – emergono condotte del reggimento Tagliamento molto più feroci rispetto ad alcune narrazioni ‘edulcorate’ che sono state fatte in anni successivi. Nella sua relazione infatti Fabio Verardo, del dipartimento di studi umanistici dell’Università di Trieste, ha affermato che il 41% degli imputati venne condannato, spesso con sentenze pesanti.
Solo l’amnistia del ’46 evitò il carcere a molti fra ufficiali e soldati, fra questi anche al fondatore Ermacora Zuliani. Dalle carte emergono stretti legami di collaborazione con le SS naziste e il particolare ‘zelo’ con cui condussero le operazioni contro i partigiani. Non regge, quindi, la ricostruzione che hanno cercato di far passare in seguito anche alcuni dei protagonisti di quelle vicende, ossia che il reggimento serviva a ‘togliere armi e uomini ai tedeschi’ e a ‘difendere l’italianità’.