Gianni Osgnach è nato nel 1948 a Osgnetto
di San Leonardo. La sua attività espositiva è iniziata tra il 1977 e il 1978 con la personale alla galleria Avanguardia 2 di Milano e la partecipazione ad ART 9”78 di Basilea.
Dal 1980 al 1985 è stato presente in diverse collettive e Fiere d’Arte a Basilea, Bilbao, Bari Expo Arte. Tra le presenze importanti negli ultimi anni quelle a Madrid nella primavera del 2018 all’evento ‘Il design. Un viaggio tra Italia e Spagna’ e a Matera tra marzo e maggio di quest’anno. Nel giugno 2017 ha presentato al museo SMO di San Pietro al Natisone una scelta delle sue opere

“Questo paese – ti dice – ha una sua particolarità, visto da qui pare un anfiteatro.” “Da qui” vuole dire da una delle ultima case in fondo a Gnidovizza, comune di Stregna. È questo il ‘buen ritiro’ di Gianni Osgnach, artista e designer di fama internazionale che ha lasciato giovane le Valli del Natisone e ora, ad un’età più matura, ci ha fatto ritorno (per gran parte dell’anno) ristrutturando una vecchia casa e adibendo una piccola ma importante parte della proprietà a atelier.
Arrivo da lui e dalla moglie Cristina in un bel pomeriggio d’agosto, caldo ma con qualche nube e dopo un po’ qualche goccia di pioggia, che non guasta. Prima dell’arte, prima del design, prima anche di una buona birra, ci sono il giardino e l’orto di casa, dove Gianni ha scelto di far crescere “frutti antichi del Modenese” tra cui il susino meschina, la mela tonina (sembra un gioco di parole, ma si chiama proprio così) e, ops, la seuka.
Lasciata la parte botanica, Gianni mi fa entrare in un edificio a lato della casa. Al secondo piano, in quella che un tempo doveva essere stata una camera da letto, ci sono alcune delle sue opere, riconoscibilissime, come i vasi ottenuti sul calco di radici di alberi, o la famosa ‘Onda’. Ma quello su cui si vuole soffermare Gianni è l’opera sulla parete di fondo, un collage di tele di forma rotonda che è anche un piano per tavolo. “L’oggetto più bello che abbia mai fatto – dice Gianni –, realizzato utilizzando tele fatte da altri, pensate per altro, ma in ognuna di esse c’è un progetto, un pensiero, un obiettivo.”
Mentre scendiamo dal primo piano per avviarci verso un’altra parte della proprietà (era la stalla, ci sono ancora le ‘jaslice’, le mangiatoie per gli animali) Gianni mi parla di Gnidovizza: “È ancora un paese dove si ha la sensazione di solidarietà tra paesani. Siamo qui da cinque anni, in paese ci saranno più o meno 25 persone, si sta bene.” Dall’esterno della casa si vedono passare per i borghi dei camminatori, li si riconosce dai grossi zaini, stanno percorrendo la Alpe Adria Trail che passa proprio da lì, anche quello, volendo, un segno di vivacità.
In casa (era disabitata da una quarantina d’anni, prima ci viveva una famiglia Bucovaz, Petruoš il nome di casa), dietro a un tavolo, non posso non chiedergli qualcosa della sua infanzia. “Ricordo Osgnetto come un paese estremamente vivace. Era una vita piacevole – rammenta – anche se non c’erano gli agi che ci sono adesso. Poi man mano la gente ha cominciato ad andarsene, un primo flusso in Australia, un secondo gruppo in Canada. Io me ne sono andato quando avevo una ventina d’anni, anche se non così lontano. Perché? Intanto vedevo le Valli del Natisone troppo belle, troppo idilliache, una sensazione che non corrispondeva alla realtà del mondo. Mi sentivo quasi soffocato da quella bellezza. E poi, finito il Malignani, ho avuto un colloquio di lavoro per una ditta del Milanese che si occupava del taglio e della commercializzazione di pietre preziose. Sono stato assunto, dopo un po’ sono andato a Novara, dove stavano lavorando per realizzare il rubino sintetico. Ancora un po’ di tempo, e poiché un gas che si usava nella lavorazione era disponibile solo a Mantova, mi sono trasferito lì, dove sono rimasto.”
Trovo naturale pensare che la sua passione e abilità per l’art design, e per l’arte in generale, siano collegate al suo lavoro, quello della lavorazione di pietre preziose. “Ho iniziato a dipingere che ero in terza media – mi contraddice invece Gianni – avendo come insegnante, a San Pietro al Natisone, Paolo Manzini, che è stato capace di coinvolgermi in quell’arte. Avevo iniziato come tutti partendo dalla tela bianca ma non mi soddisfaceva, così ho iniziato a preparare delle basi che non erano piane, e da lì è nato il discorso del volume. Già da giovane ho realizzate anche delle sculture, poi notate da una gallera d’arte di Milano. Credo che usare materiali vari, anche nuovi come certe resine, creare dei volumi, sia un modo di umanizzare l’arte ed allo stesso tempo di desacralizzarla. L’arte dovrebbe essere come il pane, di tutti, perché fa bene alle persone, allo spirito.”
Gianni sta ora dirigendo la sua creazione non tanto più verso l’oggetto con una funzione (il vaso, la poltrona, il tavolo, la sedia, il gioiello…) quanto verso l’opera d’arte in sé.
È pronto a nuove sfide. Guarda il paese e ci vede un teatro, lui pronto a fare la sua parte. (m.o.)