I quarant’anni dalla prima trasmissione radiofonica in resiano della RAI slovena, celebrati domenica 3 novembre con una diretta dalla Rozajanska kultürska hïša, sono stati l’occasione – oltre che per festeggiare una delle iniziative che più hanno permesso di valorizzare e mantenere vivo il resiano – anche per cercare di comprendere meglio cosa lega una piccola fetta di questo nostro territorio transfrontaliero alla propria lingua e alla propria cultura.
In qualche modo due fatti recenti raccontano una realtà complessa. Da una parte la Regione, con un voto abbastanza a sorpresa (una mossa del Movimento 5Stelle), modifica alcuni passi della propria legislazione in materia di minoranze linguistiche, e in particolare, per quanto riguarda la comunità slovena, riconosce anche ai circoli di Resia di poter accedere ai finanziamenti previsti dalla legge.
Su un altro fronte, un giovane linguista sloveno scopre negli archivi di San Pietroburgo dei nuovi manoscritti di Jan Baudouin de Courtenay a proposito della parlata resiana. L’intervista pubblicata nei giorni scorsi dal Primorski dnevnik al linguista mette in luce il punto focale di tutta la questione legata alla lingua resiana: se parliamo di identità (resiana, beneciana, qualsivoglia), questa è soggettiva; se parliamo di scienza, il resiano non può essersi sviluppato se non all’interno del mondo linguistico sloveno.
Domenica ho sentito, nei molti interventi, una forte consapevolezza: il resiano è un bene prezioso che va conservato. Questa deve essere la priorità per ognuna delle nostre varianti dialettali.
Poi, molto dopo, vengono le disquisizioni.
Che ci possono essere, ma che devono sempre tenere conto di quella che è un’evidenza: ognuno è libero di avere una propria identità, ma non di negare quanto gli studiosi delle lingue ci dicono e ripetono da tantissimo tempo. (m.o.)