Heimat, appartenenza e storie ritrovate

‘Heimat’ è una parola in lingua tedesca che non ha un corrispettivo nelle lingue neolatine o in inglese. Ce l’ha invece in alcune lingue slave. Indica un territorio, un paese, il luogo in cui ci si sente a casa, ma può anche essere uno spazio simbolico o una comunità alla quale ci si sente di appartenere. In sloveno, ‘domovina’. È questa parola il fulcro dell’iniziativa che si è tenuta sabato 3 settembre nel museo SMO di San Pietro al Natisone, in collaborazione con Heimat Museo, Archivio diffuso delle storie ritrovate e Spazioersetti. Attorno al concetto di ‘heimat’ sono stati creati e proposti una serie di eventi che fanno parte di un progetto pluriennale volto al recupero, allo studio, alla valorizzazione e divulgazione di un patrimonio culturale antropologico-storico, materiale e immateriale, ancora poco conosciuto, contenuto negli archivi del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASUFC e dell’ex ospedale psichiatrico provinciale di Udine, siti nel Parco di Sant’Osvaldo.
Il primo evento è stata l’inaugurazione della panchina sonora presentata da Antonio Della Marina e realizzata da Spazioersetti, un’installazione itinerante che in questo caso, posta davanti allo SMO, permette, una volta seduti sulla panca, l’ascolto di alcune composizioni musicali di atmosfera create da Della Marina alternate a voci riprese dall’installazione della biblioteca dei libri parlanti, presente nello SMO.
All’interno del museo – dove Donatella Ruttar ha parlato del senso e dell’importanza di ‘heimat’, che, ha detto, “è un po’ come il concetto di libertà, che riconosciamo quando iniziamo a perderla” – è stato quindi presentato un tavolo multimediale creato per raccontare il rapporto tra fotografia e storia della psichiatria, opera di Paolo Comuzzi. Questa installazione, come la mostra di immagini che nella Beneška galerija propone la storia delle panchine del Parco di Sant’Osvaldo, “nasce da una ricerca svolta su un gruppo di pazienti dell’ospedale psichiatrico che nel maggio 1940 vennero deportati in istituti del Terzo Reich. Le loro comunità di origine, quelle di lingua slovena e tedesca della Val Canale, nel 1939 erano state chiamate a scegliere fra il trasferimento in Germania e la permanenza in Italia senza alcuna tutela della propria lingua e cultura, avevano cioè dovuto ‘optare’ al pari della popolazione di lingua tedesca del Südtirol,” ha spiegato la sociologa Kirsten Maria Duesberg. “Il nostro lavoro di ricerca – ha aggiunto – è stato quello di creare una ‘heimat’, un’appartenenza, per persone che erano state escluse dalla comunità. Sono storie scomode, ma a volte anche molto belle, di liberazione grazie alla riforma del metodo di cura per i malati con disturbi psichici voluta da Basaglia.”
“Il progetto – ha aggiunto Paolo Comuzzi – si basa soprattutto sulla valorizzazione dell’archivio fotografico e audiovisivo, e sulla creazione, attorno ad esso, di una serie di eventi, con la volontà di costruire una serie di narrazioni che dessero parola alle immagini.” Nella Beneška galerija, oltre alle fotografie, c’è una panchina rossa, elemento importante del parco di Sant’Osvaldo, nelle tante foto dell’archivio. Ad essa è stato associato un audio con la voce registrata una decina di anni fa e mai resa pubblica fino ad ora. A parlare è Bruno Mullig, di Vernasso, oggi centenario. Sono frammenti di un discorso non legato specificatamente al tema della malattia mentale, ma che parla non del passato, come ci si aspetterebbe da una persona anziana, ma del futuro.
La serata si è conclusa con la presentazione del libro ‘Itinerari tra due stagioni. Dialoghi con i luoghi in tempi di pandemia e crisi’ a cura di Nadia Della Pietra che ha dialogato con l’autrice Maria Angela Bertoni.

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